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Pilo Albertelli “Il martire della libertà che combatté il fascismo”
di Massimo Colaiacomo

Se avesse avuto uno stemma di famiglia, il binomio “Giustizia e Libertà” vi sarebbe campeggiato come il destino di casa Albertelli.

Padre e figlio, Guido e Pilo, furono tra i fondatori di due partiti. Guido era a Genova, nel 1892, a firmare con altri militanti l’atto di nascita del Partito socialista. Pilo, di formazione più schiettamente liberale con forti aperture sociali, era a Roma, nel 1942, e aderì al Partito d’Azione, formazione clandestina anti-fascista tenuta a battesimo in casa del repubblicano Federico Comandini. Socialisti e liberal-democratici confluivano in un’esperienza politica originale, per molti versi erede dell’esperienza intensa e convulsa di “Giustizia e libertà”.
Pilo Albertelli era uno dei 335 italiani trucidati alle Fosse Ardeatine, eccidio che segnò il culmine della barbarie nazista come vendetta per l’attentato di via Rasella. Il filosofo Vittorio Enzo Alfieri, liberale e monarchico, lo considerava, con Giovanni Spadolini, Francesco Flora, Benedetto Croce, Giuseppe Prezzolini “testimone e maestro di libertà”. Nato a Parma da una famiglia nota in città per l’impegno politico del padre ingegnere, con i fratelli Nullo e Ippolito Nievo, nomi scelti da Guido come devozione a Giuseppe Garibaldi e i suoi luogotenenti, Pilo sperimentò ancora giovane la durezza del fascismo. La casa venne infatti pressoché distrutta da squadristi parmensi e suo padre, deputato socialista riformista, sfuggì a stento all’attentato. Dopo quell’episodio venne presa la decisione di trasferire la famiglia a Roma.

La militanza antifascista era parte dei legami affettivi in famiglia. Una volta nella capitale, Pilo si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia superando brillantemente tutti gli esami dell’indirizzo di filologia e filosofia classica a cui si era iscritto secondo le inclinazioni mostrate già nell’adolescenza. All’università non passò inosservato il suo cursus di studi se è vero che gli guadagnarono la stima e la considerazione di un intellettuale esigente come Giovanni Gentile.

Ma nell’animo del giovane parmense non c’era posto soltanto per lo studio della filosofia classica e del greco. Lo spirito di libertà e il sentimento della giustizia respirati in casa ne avevano fatto un riferimento se non un leader per un gruppo di studenti antifascisti.
Appena compiuto 21 anni, fu arrestato e condannato a cinque anni di confino, pena commutata in una più morbida vigilanza speciale, grazie all’intercessione del senatore Vittorio Scialoja, all’epoca presidente dell’Accademia dei Lincei. Conseguita la laurea, Pilo entra subito nell’insegnamento come docente di storia e filosofia nel liceo classico oggi a lui intitolato, all’epoca Umberto I.
Coltiva gli studi sulla scuola eleatica e Parmenide, raccolti in due saggi. Ma il tempo dell’impegno politico e dell’opposizione intransigente a un regime spietato bussa alla porta di Pilo. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione, e nello stesso tempo intensificava la sua opera di organizzazione delle formazioni “Giustizia e Libertà” all’indomani dell’occupazione nazista di Roma del 10 settembre 1943, e fu membro del Comitato Militare del Corpo volontari della libertà (CVL).

Organizzatore ed esecutore di azioni audaci. Il 20 settembre 1943, con Giovanni Ricci, collocò personalmente una mina a miccia rapida nella caserma della Milizia ai Parioli, causando molti morti e feriti e rappresentò il primo atto di guerriglia partigiana a Roma. Il suo nome e la sua sfrontatezza non sfuggirono agli occupanti tedeschi. Il primo marzo 1944, denunciato da un delatore, fu arrestato e condotto nella Pensione Oltremare, covo, in via Principe Amedeo, della famigerata Banda Koch, che operava a sostegno della Gestapo.

Anche Pilo Albertelli subì spietate torture nel tentativo, rivelatosi inutile, di fargli confessare l’identità dei suoi compagni anche se, secondo le testimonianze di chi era recluso con lui, le sevizie ricevute gli resero il volto tumefatto e pressoché irriconoscibile. Con due costole spezzate e il corpo straziato, Albertelli avrebbe tentato per due volte il suicidio. Il 20 marzo fu quindi trasferito a Regina Coeli, dove il terzo e il sesto braccio erano stati dati in gestione alle SS. Il 24 marzo 1944 fu trucidato, con altre 334 persone, alle Fosse Ardeatine.
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